lunedì 1 giugno 2020

La crociata dei bambini


La crociata dei bambini (Omaggio a Brecht) di Danio Manfredini

La crociata dei ragazzi  di Bertolt Brecht 
In Polonia nel trentanove
una battaglia grande ci fu
che fece rovina e deserto
di tanti paesi e città. qui 

 

 

 





















Libreria Utopia 12 febbraio 1985: Conferenza di Antonio Attisani "Attori soli"
Libreria utopia 11-28 febbraio 1985: foto di scena dello spettacolo "La crociata dei bambini"
Centro Sociale Leoncavallo 14-15-16 febbraio 1985: spettacolo teatrale "La crociata dei bambini" di Danio Manfredini


La crociata dei bambini da una poesia di Bertolt Brecht (Centro Sociale Leoncavallo anni ’80)
(...)“Come negli spettacoli successivi, è impossibile fissare la data di debutto ufficiale: ci sono varie fasi di studio, private e pubbliche, versioni diverse dove le opere cambiano forma e struttura, fino ad arrivare a un punto fermo che può essere solo provvisorio. Nella Crociata dei bambini questo processo dura alcuni anni. Si tratta di mettere a punto un metodo di lavoro, di inventare una lingua teatrale e di offrirla al pubblico.
Lo spettacolo è breve e dichiaratamente povero – tre riflettori, un fondale grossolanamente dipinto a cielo, un solo interprete. Rivela una intensa efficacia e sorprende per la maturità del lavoro, sia nella precisione dei dettagli sia nella composizione. Con l’aiuto di un paio di pupazzi, di un elefantino a rotelle nel ruolo del cane, grazie all’uso preciso di pochi oggetti (una sciarpa rossa, una corda tesa a mezz’aria, un bastone, un siparietto bianco), Manfredini anima i vari personaggi di un testo pieno di pathos, dando corpo a un gruppo di bambini in fuga di fronte all’incalzare della guerra: si allontanano da una società dilaniata dalla violenza e cominciano a vagare seguendo i loro sentieri privati, in un ultimo e disperato sogno di libertà e di pace.
Le tecniche usate sono molteplici: molte richiamano l’area del Terzo Teatro anche nel riferimento folklorico ed etnologico, e non sarebbe difficile trovare altre ascendenze e precedenti. Tutti assimilati e ripresi con misura in un intreccio di immagini che si imprimono nella memoria: magari un piattino tenuto tra i denti o, nel finale, un pupazzetto che ruota all’infinito vorticosamente, appeso a un filo. Quello che maggiormente colpisce è la chiarezza con cui in scena convivono due linee opposte, radicalizzate e in apparenza inconciliabili: da una parte un’espressività immediata, quasi fastidiosamente viscerale, che sembra voler fare a meno di ogni mediazione intellettuale per esprimere la molteplicità di risposte istintuali che trascendono l’unità dell’individuo; dall’altra la ricerca di un linguaggio del corpo e del movimento, stilizzato e preciso come quello dei teatri orientali, un alfabeto di gesti di cui abbiamo forse perso il significato preciso.
Come se, cancellato il centro offerto dai punti di riferimento ideologici e corporei – quelli coscienti e quelli inavvertiti – non restasse che l’accentuarsi di due tendenze latenti, che spingono il lavoro sul versante della danza: quella dell’informalità dell’urlo, del puro impulso immediato e irriflesso; e quella verso l’astrattezza di un codice che tende a chiudersi su se stesso nella sua formale e inattaccabile purezza. Due tensioni che spingono, al limite, verso l’incomunicabilità: quella di un Io originario che ancora non riesce a trovare una sua unità e una sua mediazione interpersonale; e quella di un linguaggio senza più punti di riferimento, e per questo assolutamente trasparente.
E’ nelle oscillazioni tra questi due poli che La crociata dei bambini offre un’inedita versione dello straniamento brechtiano: se a tratti il risultato è volutamente frammentario, questa è la strada che porta alla costruzione di uno stile. Non vissuto come maniera, come formula rigida, ma come confronto tra due tensioni che si riflettono una nell’altra.” (...)
Oliviero Ponte di Pino qui 

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